Progetto GENS

Il Progetto GENS

ANALISI GENETICA DI COMUNITA’ MONTANE IN AREE ISOLATE DEL CENTRO ITALIA TRA PREISTORIA E STORIA

Introduzione

Il progetto ha preso spunto dalle indagini archeologiche in corso presso la grotta Mora Cavorso a Jenne (Rm), dove la peculiarità del dato archeologico collazionato (resti di almeno 21 individui del VI millennio a.C. in un’area dove fin’ora erano state scarse o del tutto assenti le testimonianze preistoriche) ha portato l’equipe di ricerca, nel tentativo di contestualizzare quanto rinvenuto, a coniugare le osservazioni archeologiche con il dato biologico. L’allargamento della ricerca anche ai parametri genetici moderni, con il relativo coinvolgimento degli attuali abitanti locali, ha aperto il progetto al contributo dell’antropologia culturale al fine di comprendere le modalità e gli effetti dell’interazione tra ricercatori e locali nel continuo processo di produzione identitaria in cui si inserisce attivamente il progetto archeogenetico.

Da queste premesse ha preso spunto il progetto che in modo del tutto innovativo tenta di coniugare tre differenti metodologie di ricerca allo scopo di indagare il passato ed il presente, avendo come dato di lettura non solo il patrimonio archeologico relitto ma anche il dato biologico molecolare che fornisce un ponte ideale tra antico e contemporaneo. La contestualizzazione della ricerca, essenziale per poter collazionare i dati richiesti, è mediata tramite il contributo dell’osservazione ed il parametro critico dell’antropologia culturale.

Lo studio del Dna antico e moderno

Sono state condotte preliminarmente alcune campagne di monitoraggio dei parametri chimico-fisici della grotta, per stabilire se fosse possibile estrarre il DNA dai reperti rinvenuti; tali analisi hanno mostrano che le sale della grotta presentano un microclima interno in grado di garantire una miglior conservazione e preservazione delle ossa e di conseguenza del DNA, non sottoponendole ad eventuali shock termici. Le indagini avviate per l’estrazione del DNA antico sui reperti antropici rinvenuti, in via preliminare, al momento è stato ristretto a 10 campioni scelti di tibie destre umane, 9 campioni appartenenti ad individui giacenti nella sala inferiore e solo uno dalla superiore, trattasi in questo caso dell’unico individuo in parziale connessione e con corredo accertato

Per ottenere un termine di paragone con suddetti dati, si è reso urgente anche un campionamento del DNA dei viventi nell’area dove insiste la grotta, al fine di poter escludere eventuali contaminazioni recenti esterne. I primi dati raccolti hanno mostrato un dato genetico, per i viventi di Jenne, del tutto peculiare, pertanto si è deciso di incrementare l’analisi con un campionamento sistematico e contemporaneamente si è incominciato a progettare uno studio che abbracciasse un areale definito, circoscritto all’Alta Valle dell’Aniene e all’Alta Valle del Sacco, comprendente i comuni di Jenne (RM, 428 abitanti), Vallepietra (RM, 323 abitanti), Piglio (FR, 4.771 abitanti), Rocca Stefano (RM, 1.034 abitanti), Affile (RM, 1.595 abitanti), Trevi nel Lazio (FR, 1.776 abitanti) e Filettino (FR, 551 abitanti). Poiché la variabilità genetica in Italia è il risultato dei movimenti di popolazioni ed invasioni avvenuti in epoca sia storica che preistorica, si è scelto di analizzare aree dove l’Appennino, con le sue valli interne, ha svolto un ruolo fondamentale nel preservare l’impronta genetica delle popolazioni autoctone, fungendo sia da rifugio dalle invasioni, ma anche da barriera geografica per i movimenti demici tra i due versanti. I paesi scelti infatti presentano una forte vicinanza a siti archeologici riconducibili alle popolazioni pre-romane. Inoltre non sono stati soggetti a spopolamento o ripopolamento e la loro fondazione viene ricondotta a prima della conquista romana o a un periodo di poco successivo. Uno degli obiettivi futuri sarà quello confrontare i dati con quelli provenienti da altre 6 comunità dell’Appennino abruzzese della Provincia dell’Aquila, al fine di individuare la possibile diversità genetica tra le comunità che vivono su i due versanti dell’Appennino centrale.

Il DNA viene raccolto mediante prelievo della mucosa boccale e gli individui che vogliono donare un campione biologico per le analisi devono firmare una liberatoria che attesta la volontà a donare il proprio materiale biologico per scopi di studio. Inoltre, devono appartenere a entrambi i sessi, dichiarare di essere senza relazioni di parentela diretta da almeno due generazioni sia per linea materna che paterna e che i quattro nonni siano di chiara origine autoctona.

Gli scopi principali di questo lavoro sono: caratterizzare a livello genetico le comunità dell’Alta Valle dell’Aniene in Provincia di Roma e della valle del Sacco in Provincia di Frosinone, al fine di individuare la loro possibile omogeneità genetica e valutare la diversità genetica, confrontando i dati con quelli raccolti in letteratura relativi ad altre popolazioni dell’Italia e del Mediterraneo; identificare l’eventuale continuità temporale tra le popolazioni che vivono attualmente in quest’area e quelle che vi vivevano anticamente in età pre-romana, mediante lo studio del DNA antico proveniente da necropoli attribuite alle popolazioni degli Equi e degli Ernici.

Sono stati inizialmente raccolti 103 campioni di DNA di individui jennesi e 24 di individui vallepietrani e su questi è stata studiata la variabilità genetica a livello del DNA mitocondriale, un tipo di DNA ereditato solo per via materna, e del DNA del cromosoma Y, la cui ereditarietà è esclusivamente per linea paterna.

I risultati ottenuti hanno evidenziato che sia Jenne che Vallepietra presentano un’identità genetica tipica, segno di un elevato grado di endogamia favorito dall’isolamento geografico e dalla deriva genetica. L’alta differenziazione genetica tra Jenne e Vallepietra è una possibile indicazione dell’esistenza di una sorta di barriera riproduttiva, forse di tipo culturale, tra gli abitanti dei due comuni, che pur essendo distati solo 15 km presentano una tale diversità mitocondriale.

Obiettivi

L’ipotesi è quella che l’impronta genetica possa essere rimasta cristallizzata durante i secoli non solo tra valli adiacenti, ma anche tra due versanti della dorsale appenninica e che l’isolamento abbia limitato i flussi demici, come la conquista romana. Si tenterà di identificare quali possono essere stati i flussi migratori avvenuti in epoca pre-romana, che hanno definito la struttura genetica di queste comunità che vivono in aree geograficamente isolate. Il metodo sarà quello di comparare i dati provenienti dalle popolazioni attuali con i risultati dell’analisi sul DNA antico proveniente da resti umani risalenti prima della conquista romana, al fine di valutare quanto la conquista romana abbia inciso sulle popolazioni autoctone e se è rimasta traccia di tale flusso nel pool genetico delle popolazioni attuali, oppure se invece il dato genetico attuale sia il risultato della diffusione della colonizzazione romana, che ha uniformato e quindi probabilmente fatto perdere l’antico background genetico nelle popolazioni che attualmente vivono in quest’area.

Il contributo dell’antropologia culturale

L’antropologia culturale si inserisce nel progetto di ricerca in seconda battuta (la prima attività di ricerca antropologica è del 27 febbraio 2010) a seguito della necessità, avvertita dagli antropologi molecolari e dagli archeologi, di avere un supporto di tipo antropologico ai dati da loro prodotti: una lettura della dimensione culturale dei gruppi umani che attualmente abitano i territori oggetto di ricerca che confermi, o meno, anche da questa ulteriore prospettiva, l’omogeneità dei dati relativi ai gruppi e alle aree individuate. La proposta di contributo antropologico fatta è probabilmente originale rispetto alle aspettative ma, ci auguriamo, maggiormente utile e produttiva ai fini dell’arricchimento interdisciplinare del progetto e della significatività dei dati. Lungi dal pensarsi come risorsa rivelatrice dell’identità dei gruppi umani, in linea con le recenti prospettive disciplinari, l’antropologia culturale intende sperimentare un percorso di ricerca (questo testo rappresenta una prima sistematizzazione) che è possibile sintetizzare in tre punti:

1) Produrre un resoconto relativo alle autorappresentazioni locali dell’identità, indagandone in profondità i riferimenti al passato: ad esempio, le fonti orali e scritte, come pure le attività dichiaratamente culturali, riferiscono e rivendicano (o, al contrario, negano o “dimenticano”) un’origine preromana?

In quest’ottica, indagare l’influenza reciproca delle conoscenze sul territorio prodotte dagli abitanti locali e dagli scienziati del progetto: l’attività di ricerca utilizza fonti e conoscenze locali? Ne conferma e/o marginalizza alcune? Il dialogo tra la conoscenza “popolare” e quella “scientifica” produce nuove narrazioni?

2) Indagare le modalità di coinvolgimento e partecipazione al progetto: quali sono i discorsi e le attività messe in atto dai membri del progetto per invitare le popolazioni a partecipare? Come si pongono gli abitanti delle comunità coinvolte nei confronti dei vari aspetti dell’attività di ricerca? Ad esempio: il prelievo e l’analisi del DNA suscita aspettative e/o timori?

3) L’ultimo punto evidenzia un aspetto fortemente sperimentale: la prospettiva di un contributo produttivo al progetto di ricerca da parte della disciplina antropologica dalla prospettiva squisitamente culturale e critica che le è propria.

In merito a quest’ultimo obiettivo, questa indagine antropologica si distingue dagli approcci prevalenti della disciplina nel recente settore di studi nel cui filone si colloca questo progetto. Solitamente, infatti, gli antropologi o si rivolgono alla genetica come se fosse una risorsa rivelatrice dell’identità dei gruppi umani, o si dedicano esclusivamente all’analisi culturale di questa scienza.

La prospettiva antropologica intende quindi collocarsi nel progetto, dove analisi genetica e analisi archeologica collaborano per la produzione di dati archeogenetici, in modo critico, in linea con le più recenti prospettive antropologiche, ma allo stesso tempo propone di contribuire in modo propositivo e produttivo, ai fini della produzione scientifica del progetto, facendo, da una parte, da specchio ai membri del progetto (mostrando loro i debiti delle produzioni scientifiche nei confronti delle conoscenze locali e le implicazioni delle attività del progetto sulle politiche, culturali e non solo, locali), dall’altra, proponendo una lettura delle pratiche e delle narrazioni identitarie locali per mostrare continuità e discrepanze rispetto al discorso scientifico che, volente o nolente, di quelle identità è un potente produttore e recettore. Allo stato attuale, sono state realizzate delle prima attività di indagine relative al primo (analisi culturale del progetto e interazione con le popolazioni locali): sono state realizzate delle interviste agli ideatori del progetto (Dott. Francesco Messina, dottorando in Antropologia molecolare, e l’archeologo Mario Federico Rolfo) e a un attore complesso come Agostina Appetecchia, archeologa coinvolta nel progetto e, allo stesso tempo, personaggio molto attivo nella vita politica e culturale di uno dei paesi del progetto, Piglio, di cui è originaria. Sono state anche etnografate alcune attività di ricerca: il prelievo dei campioni biologici a Piglio, che ha visto la partecipazione, a più livelli, della popolazione locale, e il controllo della temperatura e dell’umidità all’interno della grotta di Mora Cavorso da parte degli antropologi biologici. In sintesi, lo sguardo antropologico, utilizzando tutti i mezzi d’indagine propri della “ricerca sul campo” (partecipazione e osservazione prolungata alle attività scientifiche e degli abitanti locali, interviste etnografiche, spoglio della letteratura locale e di tutte quelle fonti scritte e audiovisive ritenute pertinenti) si pone l’obiettivo di contribuire al progetto descrivendo e analizzando le negoziazioni messe in scena dai diversi attori sociali coinvolti nel complesso processo di produzione dell’identità locale, in cui, come avviene sempre più di frequente, non solo le scienze umane ma anche, e in misura crescente, le scienze naturali, e in particolar modo la genetica, giocano un ruolo centrale.

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